Dimenticanze
Renzi non commemora Berlinguer

“Dimenticare Berlinguer”, lo raccomandava Miriam Mafai con un suo brillante libretto, già nella seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso. Mafai cumulava più di qualche ragione dalla sua parte. Ad esempio, Berlinguer non riteneva si potesse governare l’Italia con una maggioranza del 51%, quando i suoi presunti eredi erano pronti a guidarla con il 50,01, ma anche meno, grazie al premio di maggioranza. Mafai aveva poi perfettamente compreso, come un partito della sinistra a vocazione maggioritaria, superasse di un balzo la questione del “compromesso storico”, che pure, dopo il colpo di Stato in Cile, fu quella che caratterizzò più significativamente la stagione berlingueriana. Fare invece di Berlinguer il campione della questione morale, come si vorrebbe per attualizzarlo, significa ridurlo quasi ad una caricatura. Come sarebbe possibile, altrimenti, che il partito che ne celebra la memoria, abbia oggi più inquisiti al suo interno, di quanti ne avesse la democrazia cristiana o il partito socialista ai tempi in cui Berlinguer era vivo? Infine, guardate la politica economica: Berlinguer era il campione dell’austerità che trova un interprete convinto solo più in Angela Merkel. Non è un caso, che nel 1975, apparteneva anche lei al blocco comunista. Si capisce allora perchè la sinistra abbia voluto dimenticarsi in fretta di Berlinguer e scelse la compagna di Pajetta per spiegarci come farlo. Correva l’anno 1998 e si andava finalmente al governo da soli. Altro che rigore! Maniche larghe, bisognava pure tranquillizzare quella parte di società che aveva sempre considerato la sinistra una minaccia. “Nel conflitto fra socialisti e comunisti durato per tutto un secolo”, D’Alema, presidente del Consiglio, era disposto a riconoscere che avevano avuto ragione quegli altri e non lui ed i suoi. Significava dare ragione a Craxi e non a Berlinguer. Craxi aveva compreso, meglio di Berlinguer, l’evoluzione della società moderna, anche se poi, così come Berlinguer non riusciva a compiere un salto sufficiente di emancipazione politica, Craxi non riuscì ad elaborare una prospettiva liberale, checchè ne dicesse. Il leader socialista si sbarazzò di Marx solo per rivalutare il buon vecchio Proudhon, ovvero un riferimento persino più arretrato di Marx. Curioso come la sinistra italiana non seppe riprendere il filo del discorso dalla sua spaccatura, quella che si consumò con la rivoluzione d’ottobre, per cui Kautsky e tutta la socialdemocrazia occidentale, si contrapposero al bolscevismo di Lenin. Disgraziatamente, lo stesso partito socialista in Italia ebbe poi i suoi premi Stalin e Craxi rabbrividì quando sul muro di Berlino lesse la scritta “sozialism kaputt”. Berlinguer, beata ingenuità, non mostrò invece mai dubbi sulla forza del socialismo. Teneva insieme, non si sa come, l’aspirazione democratica di Bernstain, con il culto di Lenin, che era l’esatto opposto. Ci andavano a nozze i vignettisti, che lo definirono persino “un tennista”, già dai tempi della battaglia del divorzio. Tanta abilità a schivare contraddizioni mortali, produsse un corto circuito politico, tematico, culturale da cui la sinistra non è mai più uscita. Oggi, il suo ultimo leader Renzi, ha infatti preferito, più semplicemente, sbarazzarsi lui della memoria di quell’epopea e tutta la sua paccottaglia.

Roma, 12 giugno 2014